Mothers nasce per attraversare il vuoto lasciato dalle rappresentazioni stereotipate della maternità, restituendo corpo e voce a chi vive questa esperienza fuori dai modelli dominanti.
Le immagini raccontano madri sole, precarie, resistenti — sospese tra gesti quotidiani e silenzi strutturali.
È un archivio in divenire che non idealizza, ma osserva: la maternità come atto concreto, ambivalente, profondamente umano.
Ritrae donne che lavorano senza tutele, che affrontano il giudizio sociale, che combattono la marginalità in contesti dove i servizi pubblici arretrano e il lavoro femminile resta penalizzato dalla mancanza di supporti strutturali.
In Italia, il 72% delle madri sole è disoccupata o sotto-occupata, spesso costretta a scegliere tra la sopravvivenza e la cura dei figli, mentre il carico mentale — pianificazione, organizzazione, gestione affettiva — continua a gravare interamente sulle loro spalle.
Mothers non nasce solo per fotografare, ma per comprendere e rendere visibile una verità che riguarda molte più persone di quanto si voglia ammettere.
È un cantiere aperto, destinato a crescere nel tempo, accogliendo nuove donne e nuove storie. Non segue una struttura rigida né un tema unico: il filo che unisce tutte le immagini è la verità che custodiscono.
La maternità che qui si racconta è fatta di carne, di sudore, di assenze e di gesti ripetuti mille volte.
È una maternità che non chiede di essere esaltata, ma riconosciuta. Che non si fonda sulla perfezione, ma sulla presenza. Che non coincide con il sacrificio, ma con la possibilità di essere, ancora, sé stesse.
Mothers è un luogo di visione e di testimonianza: una narrazione sensibile che vuole restituire spessore umano e politico a ciò che troppo spesso viene dato per scontato.
Essere madre, oggi, è anche un atto di forza invisibile. Ed è proprio a questa forza — che non cerca eroismi, ma diritti — che questo progetto vuole dare forma.

Mothers gives body and voice to women whose experience of motherhood exists outside dominant narratives.
The series portrays single and precarious mothers, caught between daily gestures and structural silences, without idealization. It is an evolving archive that reveals motherhood as a concrete, ambivalent, deeply human condition — shaped by fatigue, resilience, and the absence of social support.
Mothers becomes a space of testimony, highlighting an invisible form of strength that seeks not heroism, but recognition and rights.